sabato 14 maggio 2016

Galleria degli Invincibili tra storia e sport: GIOSUE' JANAVEL

Nei pressi di Rorà, in località Vigne, vi è un gruppo di case chiamate Gianavella superiore e Gianavella inferiore. Erano state acquistate nel XVII secolo da un montanaro di Bobbio dal nome Jean Gignous ma soprannominato Janavel per una sua presunta rassomiglianza col gufo così chiamato in lingua d'Oc. Qui, presso la Gianavella superiore, nel 1617 nacque Giosuè Janavel.
Nel 1655, quando la sua vita ebbe un brusco cambiamento, questi era un contadino relativamente benestante, con moglie e figli. In quell'anno il governo del ducato di Savoia lanciò un'operazione militare contro le popolazioni valdesi (Pasque piemontesi), volta ad eliminare la presenza protestante nelle valli.
Giosuè Janavel guidò la difesa di Rorà, e riuscì in un primo momento a respingere gli assalti delle truppe savoiarde. Il coraggio dimostrato gli valse il soprannome di “Leone di Rorà”. La resistenza durò però poco: i valdesi furono sconfitti in val Germanasca e Janavel dovette espatriare, rifugiandosi in Queyras. Nonostante le minacce alla sua famiglia ed una taglia di 300 ducati sulla sua testa, Janavel rimase latitante, e dopo una quindicina di giorni rientrò in patria, riorganizzando la guerriglia.
Conclusosi il conflitto armato con le Conferenze di Pinerolo e le Patenti di grazia del 1656, ritrova la sua vita di contadino, ma, nel deteriorarsi della situazione, dovuta alle continue violazioni dell'accordo da parte dei Savoia e la mancata restituzione dei suoi bambini rapiti, riprende la lotta armata. Nuovamente messo al bando, condannato a morte «con tenaglie ed esposizione della testa», nel 1659 si mette a capo di vere e proprie bande armate che conducono una guerra partigiana contro le guarnigioni sabaude; dalla zona del Bric di Bandì compiono spedizioni nelle terre del piano; Luserna e Lusernetta sono messe a sacco. Contro di lui vengono inviate truppe sempre più numerose, Rorà, nuovamente assalita, viene distrutta.
Come tutte le guerriglie, anche la sua si avvale del sostegno della popolazione che vede in lui il difensore dei suoi diritti, ma agli attacchi dei suoi uomini rispondono le truppe ducali con operazioni di rappresaglia, incendi, condanne; la situazione si aggroviglia senza soluzione in un succedersi di violenze. Dopo mesi di guerriglia la popolazione, desiderosa di una vita regolare, dà segni di stanchezza e in un sinodo Janavel ed i suoi vengono sconfessati e invitati a ritirarsi. Momento sofferto, che mette fine alla sua resistenza ma anche alla sua ragion d'essere, che egli vive con grande dignità ritirandosi a Ginevra.
Qui trascorrerà 26 anni esercitando il mestiere di oste. Questo non gli impedì di seguire le vicende della sua gente con grande partecipazione. E quando ormai vecchio sembrava aver chiuso la sua missione, torna sulla scena con un ruolo di primo piano, perché la sua osteria diventa, nel 1689, il centro organizzativo del rientro alle valli dei mille valdesi, conosciuto come il “Glorioso Rimpatrio”.
Per l'occasione egli redige per gli uomini della spedizione un manuale di poche pagine, in cui sintetizza la sua esperienza guerrigliero fornendo indicazioni molto precise sui luoghi, l'organizzazione delle truppe, le modalità di combattimento, il tutto alla luce di una profonda convinzione religiosa, nella consapevolezza di combattere una battaglia ideale per la libertà della religione.
Il manuale è considerato un classico nel suo genere e studiato nelle accademie militari come uno dei più antichi testi di guerra partigiana.
Janavel morì a Ginevra il 15 marzo 1690, a 71 anni, poco dopo aver conosciuto l’esito fortunato dell’avvenuto rimpatrio.

(Notizie storiche tratte da fonti diverse)