Trail Degli Invincibili

Un bellissimo Trail attraverso luoghi spettacolari, insoliti, racchiusi da una cerchia di monti dove tra tutti emerge il Cornour, da questa parte quasi inaccessibile!

Il nuovo percorso

Un nuovo Trail in Val Pellice con partenza ed arrivo dal Laghetto Nais di Bobbio Pellice!

Un occasione per conoscere la nostra Valle

Il nostro "Trail degli Invincibili", oltre ad essere un importante momento di sport vuole essere un occasione per conoscere il territorio della Val Pellice, non solo per le sue bellezze paesaggistica ma soprattutto per la sua ricca storia e cultura.

mercoledì 27 maggio 2020

RICORDI...

IL RECORD DI SALITA E DISCESA DA PIAN DEL RE AL MONVISO:
PAOLO BERT: 3.12’42” – Salita 1.58’03” – Discesa 1.14’39”

In una magnifica e tersa mattinata di fine agosto 2011 un brivido rosso ha scosso il Re di Pietra: l’evento era stato preparato in gran segreto. Gli elementi imponderabili sono molti e quindi meglio lavorare in silenzio ed alla pubblicità, nel caso, si pensa dopo…
Paolo Bert da Bricherasio è il protagonista: classe 1978, tesserato alla Podistica Valle Infernotto, società sportiva di quest’angolo del cuneese. Eccellente atleta di livello internazionale che oramai da un decennio domina il mondo dello Sky Race o della Corsa in Montagna. Per 9 anni vincitore della 3 Rifugi Val Pellice ma citare tutti i suoi successi, regionali e nazionali, riempirebbe un intero articolo.
Non ha punti deboli e per questo primeggia: veloce su strada in pianura, ottimo scalatore dalle salite più facili alle più tecniche, discesista impareggiabile e soprattutto dotato di grande potenza resistente.

Anno importante per il Monviso il 2011: 150 anni fa lo salirono ufficialmente per la prima volta gli inglesi William Mathews, Frederik Jacomb con le guide francesi Jean Baptiste e Michel Cruz. Era il 1861 il giorno 30 Agosto.
Così dice la cronaca ufficiale. Quella popolare vorrebbe che il primo salitore sia stato “Sebastiano A” di Oncino il 1° Settembre 1841. Ma questa è una leggenda, sia pure verosimile, raccontata in un libro davvero interessante scritto nel 2005 da quel Dario Viale che nel 1986 migliorò il precedente record di salita al Monviso di Livio Berta. Il titolo “Sebastiano A il primo salitore del Monviso” Fusta Editore: leggere per credere!!!

Molte le manifestazioni per il 150° ma quella che qui si racconta non appartiene a nessun programma. Torniamo, quindi, alla impresa di Paolo per la quale la decisione era presa da tempo; unico elemento imponderabile la meteorologia.
Le formalità ridotte all’essenziale per limitare il coinvolgimento di altre persone in responsabilità sempre latenti.
Indispensabile, però, la presenza di un cronometrista ufficiale: chi meglio di Danilo Gaborin, storico misuratore del tempo della Federazione Cronometristi di Cuneo. Lo stesso cronometrista che aveva registrato il 6 Settembre 1986 il record di sola salita al Monviso, sempre dal Pian del Re, di Dario Viale.

Nessuna ambizione di misurarsi con il record del Re della Salita: l’obiettivo è una impresa sportiva diversa: prevede il raggiungimento della vetta del Monviso salendo il versante sud con partenza da Pian del Re ed il ritorno dalla stessa via alla località di partenza. Le caratteristiche tecniche di Paolo Bert, compresa la sua capacità di affrontare in sicurezza le ripide discese rendono l’impresa sostenibile.

Si chiede aiuto agli amici per un supporto sul percorso, la notizia circola a mezza voce a Crissolo dove Paolo trascorre, con la famiglia, il periodo di ferie. Da parte di molti c’è il desiderio di sostenere l’impresa in qualche modo: si trovano i “controllori” da dislocare sul percorso ed in vetta. Spuntano anche amici sponsor per coprire le sia pure ridotte spese e tutti insieme si spera nel bel tempo.

Si sceglie lunedì 29 agosto perché domenica 28 Crissolo ed il Monviso hanno celebrato la ricorrenza ufficiale del 150° anniversario della prima ascesa e sul Monviso è previsto traffico favorito anche da una giornata meteorologicamente spettacolare.
Il cielo è colorato dall’atteso azzurro alle 8,00 del lunedì. A salutare l’avvio dell’impresa Danilo Gaborin e Marco Badariotti, l’uno per il tempo e l’altro per il sostegno morale allo sguardo teso del protagonista.

Parte il cronometro ufficiale e Paolo in perfetta solitudine si avvia ad affrontare il Re di Pietra. L’abbigliamento è ridotto all’essenziale: scarpe, pantaloncini e la classica maglietta mezze maniche rossa con le insegne della Podistica Valle Infernotto. Niente zainetto, borracce e bastoncini a sostenerne il passo. Un cronometro si, per capire l’evolversi della situazione.
Sale come se fosse la consueta gara domenicale: pur senza avversari riesce a trovare il ritmo giusto. Transita al Rifugio Quintino Sella dopo 41 minuti esatti. Osservano il passaggio Enrico Bonansea ed Hervè Tranchero, quest’ultimo Guida alpina e storico gestore del rifugio.
Con rispetto Paolo lo aveva preavvertito del tentativo quasi chiedendo il permesso di potere realizzare un sogno. Permesso accordato: “a voi corridori questa montagna vi incista” gli disse il testimone vivente della storia recente del Monviso. Lui sa che l’alpinismo è anche competizione e che le passioni occorre gestirle ma non si possono sopprimere.

Alle ore 9,02 spunta al Colle delle Sagnette: è un punto molto rischioso per possibili scariche di pietre. Ad attenderlo ed assisterlo Luca Odetto, Paolo Perotti e Marco Curti. Un tratto meno verticale e poi su alla ricerca della parete sud. Il transito all’Andreotti avviene dopo 1 ora e 24 minuti circa dalla partenza. Ad incitare lo sforzo solitario anche alcuni alpinisti che, preavvisati da Hervè, cedono i passo all’uomo che insegue il suo sogno.

Imerio Pron è in vetta dopo una veloce salita non ostante la competizione dello “Stellina” della mattinata precedente. È lui il delegato dal cronometrista ufficiale per la verifica del passaggio in vetta. E’ dotato di orologio satellitare e radio. Ore 9 e 58 Paolo è in vetta: 1 ora 58 minuti e 03 secondi. Il record di sola salita resiste ma questa è tutt’altra storia.

Poco più di un minuto di sosta per la foto ufficiale e poi giù per un verticale incredibile: è qui che Paolo costruisce il capolavoro. L’altro Paolo, inteso come Perotti, lo osserva dal Passo delle Sagnette. Uno spettacolo la discesa agile e controllata laddove di norma ci si arrampica in cordata. Diciassette minuti dalla vetta al Bivacco Andreotti e poi via verso la scarica di pietre del Passo. Il transito al Quintino fa presagire il livello della prestazione. 2 ore e 41 il tempo di passaggio.

Al Pian del Re Danilo attende per ufficializzare l’impresa: il passaggio dell’atleta è segnalato al Lago Fiorenza e poco dopo la maglietta rossa appare sui tornanti che conducono alle sorgenti del Po. La corsa è ancora agile nel superare indenne le scivolose pietre che lastricano la dirittura finale. Giunge in solitudine accolto dall’applauso di una folla di 3 spettatori. Non applaude Danilo intento a dare ufficialità alla prestazione cronometrica finale: 3 ore 12 minuti e 42 secondi. Il tempo di discesa è ufficializzato in 1 ora 14 minuti e 39 secondi !!!

Cosa aggiungere: è un’impresa sportiva che non porta medaglie o ricchezza economica ma la vita si nutre anche di passioni e poi... c’è l’ammirazione della gente per il coraggio dimostrato più ancora che per il tempo impiegato. Forse un poco di invidia da parte di coloro che per salire il Monviso devono allenarsi un anno intero … Ma il piccolo uomo che sale il grande monte e la metafora dell’esistenza: la consapevolezza delle proprie possibilità, non uguali per tutti, e la tenacia nel volere raggiungere, con umiltà e sacrificio i propri obiettivi.
Il piccolo uomo che sale il grande monte sa che non lo “vince” ne lo “conquista”, semplicemente lo accarezza, lo rispetta e lo ringrazia per avergli permesso, in un giorno di fine agosto, di realizzare un sogno che durerà una vita.

Poi si riprende la vita di tutti i giorni: la Montagna rimarrà la a disposizione per altre “imprese” ed altri sognatori. Paolo tornerà al lavoro ed a regalarci altre vittorie nelle competizioni di montagna.
Carlo Degiovanni



mercoledì 13 maggio 2020

CORSE DELL’ALTRO SECOLO: BALME - TROFEO RIFUGIO GASTALDI NEL REGNO DI GIUSEPPE GENOTTI


Era un sabato pomeriggio pieno di sole quel 30 Luglio 1984. Sulla balconata del Rifugio Città di Ciriè al Pian della Mussa nelle alte Valli di Lanzo (Valle di Ala) mi godevo momenti di relax in attesa della fatica in programma per l’indomani: la partecipazione alla gara di Marcia Alpina Rifugio Città di Ciriè – Rifugio Gastaldi e ritorno. Circa 900 metri di dislivello da superare in 12 chilometri scarsi. Esclusivamente sentiero dal debutto leggermente in discesa per poi proseguire affrontando le difficoltà tecniche proposte dal tracciato.

Appariva lontano il Pian della Mussa dalla località di partenza ma c’erano gare alle quali non era possibile rinunciare per la cornice di leggenda che si portavano appresso. Ed allora avevo scelto di fare con comodo, salendo al Rifugio il giorno prima della competizione.

Eravamo solo in tre a goderci il pomeriggio di sole o meglio, eravamo in due, io e mia moglie, mentre il gestore della struttura, Antonio Balmamion il nome (Tom per gli amici), era indaffarato nell’interno. Qualche nebbia abitava i canaloni che scendevano dalle cime confinanti con la vicina Francia ma nulla di preoccupante per la stagione. Lo sguardo correva pigro sui sentieri della disfida quasi a volerne carpire i segreti per guadagnare qualche metro qua e là.

Una figura maschile rubò la scena all’indagine visiva
. Camminava a stento scendendo un canalone laterale a quello che portava al Rifugio Gastaldi e nel camminare faceva ampi gesti verso di noi. Ero in tenuta sportiva e presi a salire quel canalone per andare incontro al ragazzo che ora appariva immobile nella bassa vegetazione che rendeva difficile il cammino.

Quando lo raggiunsi vidi il suo viso teso tra i capelli bagnati dal sudore e dalla nebbiolina che avvolgeva la zona. “Il mio amico è caduto in un crepaccio al ghiacciaio del Collerin. Gli ho parlato, non ha traumi ma ha la corda con se e non mi è stato possibile aiutarlo. Mi ha detto di scendere al Gastaldi per chiedere aiuto ma mi sono perso in questa nebbia”. Non perse tempo, il ragazzo, e mi accolse con queste parole pregandomi di chiedere aiuto.  Scesi di corsa verso il rifugio e riferii al gestore quanto comunicatomi. A dire il vero rimasi stupito quando mi fu risposto che per allertare le squadre di soccorso occorreva attendere l’arrivo del ragazzo ancora impegnato a scendere il canalone.

Trascorsero circa 15 minuti prima che il ragazzo conferisse direttamente con il gestore, e subito dopo partirono le telefonate ai componenti della squadra di soccorso. Non era utilizzato, in Italia a quel tempo, l’elicottero per le operazioni di soccorso. Solo i francesi avevano in uso a tal fine l’allodola ovvero l’elicottero Alouette. In breve tempo la squadra di soccorso si radunò e partì per il recupero del ferito circa 1200 metri più a monte.

Intanto Antonio aveva provveduto ad avvisare la famiglia dell’infortunato che giunse in alta valle al crepuscolo della giornata. Cenammo senza appetito, quella sera, e appena dopo ci sedemmo sulla balconata praticando il silenzio consono all’ambiente ed alla situazione. Solo la radio si faceva sentire con qualche rado gracidio. Osservavamo la montagna noi cinque: seduti vicino a noi i genitori e poco discosto il gestore. Fu lui ad un certo punto, quando la notte aveva preso il sopravvento, ad avvicinarsi a me e sussurrarmi: “non si sono fatti sentire fino adesso, tempo il peggio”.  L’esperto Balmamion aveva intuito il giusto: passò un’altra interminabile ora e la radio richiese l’attenzione di tutti. Pronunciò parole amare, quella radio, comunicando di avere individuato la persona che risultava, però, imprigionata dal crepaccio che il freddo della sera aveva ristretto. Un sottile strato di ghiaccio ne ricopriva il capo.

Non ci fu bisogno di comunicarlo ai genitori che avevano appreso direttamente la notizia. Scese qualche lacrima sul volto del papà mentre lo sguardo della mamma appariva più rassegnato. La lunga attesa aveva consentito loro di prendere coscienza con la dura realtà. “Abbiamo già perso una figlia così” furono le prime parole che si sentirono nel silenzio che circondava il rifugio. La radio parlò ancora segnalando la difficoltà ad estrarre il corpo dalla morsa del ghiaccio e chiedendo istruzioni sul da farsi. Balmamion, barba lunga a segnalare saggezza ed esperienza montanara, si rivolse ai genitori interrogandoli, a sua volta, con un semplice sguardo. Fu il papà ancora a parlare: “non voglio che rischiate per portarmi il figlio morto. Preferisco rimanga lì sulle sue montagne, a vegliarlo ci saranno la Ciamarella e la Bessanese, le sue montagne preferite”.

Andai a dormire in attesa della gara del giorno successivo. Certo lo spirito non era quello giusto per partecipare alla 8° edizione di quella gara già frequentata nella prima edizione del 1977. In quella occasione vinse Marco Sclarandis. Il campione del Santiano Dante Baudenasca impiegò 49’57” relegando in seconda e terza posizione Marco Morello e Gabriele Barra. La cavourese Claudia Priotti fu la migliore tra le donne davanti all’atleta di casa Laura Bertino.

La gara si svolse per una decina di edizioni nel secolo scorso. Seguì una sospensione per essere ripresa su percorso di solo salita ma questo avvenne all’alba del secolo nuovo. Protagonista assoluto dei tempo antichi fu Giuseppe Genotti, invincibile atleta di valle dalle enormi potenzialità naturali. Carriera troppo breve per Giuseppe che dovette presto arrendersi per l’insorgere di problemi al suo possente fisico da montanaro. 

Nella edizione descritta fu della partita anche Livio Berta, primo recordman del Monviso, guida alpina e soccorritore di montagna. Giunse 13° al traguardo. Tocco a lui, con la squadra di Soccorso Alpino, calarsi in quel crepaccio l’anno successivo, testa in giù a lottare con il ghiaccio per recuperare e riconsegnare ai famigliari il corpo di Giuliano, Giuliano Accomazzi.

Non salii più al Rifugio Città di Ciriè per partecipare ad altre edizioni della gara di Marcia Alpina. Ci salii in solitaria invece una volta per andare a fare visita a quelle montagne. Mi accolse l’Uia di Ciamarella e dai suoi 3676 metri di quota il mio sguardo indagò a lungo l’allora ancora esistente ghiacciaio del Collerin…

Carlo Degiovanni



lunedì 11 maggio 2020

CORSE DELL’ALTRO SECOLO: CORSA ALPINA AL COLLE BIONE

Coazze più di ogni altra realtà ha dato forma rappresentativa della differenza tra la vecchia Marcia Alpina e la più recente Corsa in Montagna. Alla storica Marcia Alpina ai Picchi del Pagliaio, con partenza ed arrivo alla Borgata Cervelli ha fatto seguito la Corsa Alpina al Colle Bione che aveva il suo epicentro nel salotto buono di Coazze. Tanto tecnico e selvaggio il tracciato della prima quanto più “corribile” quanto proposto, all’esordio di settembre, dalla U.S. Coazze che alla manifestazione aveva dato i natali.

Quel “corribile” è un aggettivo quanto mai personalizzabile, si tratta pur sempre di salire e scendere per sentieri montani, ma è indubbio che la Corsa Alpina al Colle Bione rientrasse maggiormente nei canoni e regolamenti del nascente Comitato Regionale Corsa in Montagna in ambito Fidal. Circa 11 chilometri complessivi e 750 metri di dislivello con un brevissimo tratto di asfalto a caratterizzarne partenza ed arrivo.

La Fidal, quando le fu assegnata la gestione di questa disciplina sportiva, scelse di fare buon viso a cattiva sorte definendo che la specialità doveva essere utile a reperire atleti nelle vallate alpine, sovente sprovviste di impianti di atletica, da portare a praticare le specialità olimpiche ed in special moda maratona e siepi. Per questo nacque la definizione di “Corsa in Montagna” proprio per identificare percorsi più “corribili”. Gelindo Bordin e Severino Bernardini furono due primi splendidi esempi di questa scelta tecnica.

D’altra parte, la presenza in valle di Bartolomeo Aimar, macellaio in Torino, frequentatore assiduo di quelle montagne ma, soprattutto, dinamico componente del citato Comitato, non poteva che condurre la manifestazione coazzese fino agli scenari nazionali, cosa che avvenne nel 1990 con lo svolgimento del Campionato Italiano di Gran Fondo su percorso opportunamente adeguato: Km 21 e 1160 metri di dislivello positivo. Vincitore il forestale Davide Milesi nella categoria maschile. Non è possibile citare la categoria femminile perché la distanza in allora era interdetta alla partecipazione femminile dalle norme Fidal.

La prima edizione si tenne nel 1977 con la disputa del Trofeo Comm. Ferruccio Tessa che dello sport dei faticatori in montagna di quell’angolo del Piemonte fu filantropo e mecenate. Si deve a lui la realizzazione i loco di una delle più forti compagini di specialità guidate da atleti del calibro di Edo ed Elio Ruffino. La prima edizione vide il trionfo del “Fornese” Edo Ruffino bissando il successo nella seconda edizione pari merito con il fratello Elio in 53’55”. Nella terza edizione salì a Coazze il valdostano Donato Ducly che superò in volata lo stesso Edo Ruffino distaccandolo di 1 (un) decimo di secondo. Il miglior tempo sul tracciato “classico” risulta da assegnare al campione valsusino Franco Naitza che nel 1990 fermò il cronometro a 52’04”.

Un breve cenno allo schieramento di autorità atletiche che hanno frequentato, con successo, lo scenario della Corsa Alpina al Colle Bione: dai fratelli Ruffino a Donato Ducly, da Pierpaolo Fontan a Franco Naitza e poi ancora Gabriele Abate, Massimo Galliano, Paolo Bessone, Ivana Giordan, Mariangela Grosso, Gisella Bendotti.

Le vittorie di Gabriele Abate all’inizio del secolo nuovo archiviarono per alcuni anni la manifestazione che aveva esaurito la propria “spinta propulsiva”. La generazione dei Campioni della Marcia Alpina aveva raggiunto l’età della pensione agonistica ed anche l’Atletica Val Sangone, che era subentrata negli anni ‘90 all’U.S. Coazze, era in procinto di archiviare la propria storia.

Però…siccome le passioni non muoiono mai, specie quando hanno piantato solide radici, ecco che la Corsa Alpina al Colle Bione ha ripreso vita dopo anni di “vacanza” ad opera degli eredi della passione sportiva dei Commendatori Ferruccio Tessa ed Ezio Rosa Brusin e della competenza organizzativa dei “Des Amis” compagine sportiva che si è assunta l’onere di dare una casa ai nuovi campioni. L’esordio del nuovo corso è avvenuto domenica 19 Maggio 2019 ed è stato subito (ri) esordio tanto bagnato quanto fortunato. Se Paola Martoglio si è incaricata di dimostrare che in Valle il filone dei campioni, in questo caso delle campionesse, non si è esaurito, tra gli uomini l’eterno Paolo Bert è stato ancora imbattibile. Alle sue spalle, però, sono emersi gli eredi dei talentuosi campioni di Forno di Coazze: il collaudato Luca Vacchieri e Andrea Negro sulle cui gambe pesa una eredità tanto preziosa quanto impegnativa.

Carlo Degiovanni



domenica 10 maggio 2020

DOMENICA 10 MAGGIO 2020 SI E’ CORSO A BARGE!


MARIUS GADALEAN E GIULIA VIGNOLO SU TUTTI NELLA SCALATA AL MONTEBRACCO
 Oltre 200 i protagonisti di una giornata memorabile di sport.
Folla di camminatori, partiti dalla Trappa, ad applaudire i Campioni in vetta.

Evidentemente piace! Piace la gran fatica che richiedono i 7,5 km in sterrato puro che, superando 1000 metri di dislivello, collegano la “Piazzetta” del Comune di Barge alla Croce d’Envie situata sulla vetta più alta del Montebracco.

Il Castello (inferiore) dall’alto della rupe che lo sorregge ha sorriso al colorato affollarsi del luogo deputato alla partenza animato, fin dal primo mattino dalle fatiche preparatorie dell’organizzazione…e al bar del Chiosco intento a distribuire galeotte quanto voraci colazioni.

Salita che pare dolcemente ingannevole in avvio ma poi morde i garretti dei coraggiosi salitori fino al Km 2 dove l’ascesa torna a farsi ragionevole. Un chilometro persino in leggera discesa inganna i protagonisti che, dopo il transito all’interno della Trappa affrontano le erte finali che culminano là dove le Associazioni di Envie hanno allestito una nuova struttura ricettiva.

Attesa e pervenuta una mattinata di sole a premiare gli sforzi organizzativi tendenti (anche) alla promozione della Montagna di Leonardo ed in specifico della Trappa di Montebracco, splendido e storico luogo mistico che non disdegna, però, i piaceri del corpo presso la vicina locanda.

E’ piaciuta a 215 atleti superando di slancio il numero record di 147 partenti nella edizione 2012.
Folla, quindi, a colorare la domenica mattina di Barge ma solo per pochi minuti. Poi, alle 9,30 in punto, come recita il “regolamento” la competizione ha prodotto un lunghissimo serpente di maglie colorate e schiene curve che ha conteso la pace dei boschi ai caprioli tradizionalmente presenti nel “loro” regno.

E più di tutti è piaciuta a Marius Gadalean, atleta enviese con la maglia dei diavoli della Podistica Valle Infernotto, la società organizzatrice dell’evento! E’ salito autorevolmente e forse anche autoritariamente dettando un ritmo infernale fin dall’avvio. Il record di “tale” Bernard De Matteis (42.15 nel 2013 con la maglia dell’Esercito) è rimasto imbattuto ed anche lontano ma la prestazione di Marius è stata da manuale. Il suo crono si è fermato a 46.25, ben 1 minuto e 24 secondi davanti al protagonista vittorioso in mille altre battaglie sportive: quel Paolo Bert, altro “diavolo” di casa, che sta affinando la preparazione sulle lunghe distanze in vista della “100 miglia del Monviso” della quale da un po’ di tempo si vagheggia nelle segrete stanze del Parco del Monviso e del Comune di Saluzzo. Massimo Domenino crede nel miracolo che pare palesarsi dopo un avvio al fulmicotone che lascia di stucco il Re del Monviso ma la gloria è stata di breve durata: il passaggio alla Trappa ridimensiona le sue ambizioni e scivola nella terza posizione che condurrà fino al traguardo. Il crono gli assegnerà 49’15” utile per salire sull’ultimo posto disponibile del podio.

Al cardiopalmo la gara femminile con tre atlete giunte in 38 secondi al traguardo.
Anche qui sono lontani i tempi della record woman Romina Cavallera che vinse nel 2012 in 54.40”.
Giulia Vignolo ha presidiato la testa della corsa rosa con una salita da manuale. Qualche timidezza nel veloce avvio ma quando le pendenze sono divenute serie è emersa la sua testarda capacità di resistere alla fatica. Il suo passo deciso l’ha condotta in vetta in 1.01’04”, tempo utile a contenere il ritorno delle avversarie di giornata. La tanto esperta quanto giovane Monica Bruno Franco ha pagato 14 secondi di distacco relegando in terza posizione Stefania Ribotta cui non è servito conoscere a menadito i sentieri di casa. 1.01’42” il suo tempo finale.

Ad applaudire i vincitori oltre trecento camminatori che sono saliti, con partenza dalla Trappa ed a passo da escursione, per i quattro chilometri circa che dividono il luogo mistico dalla Croce di Envie. La splendida balconata che presidia la vetta è stata trasformata in una panoramica terrazza dove l’organizzazione ha provveduto a reintegrare gli sforzi dei partecipanti senza distinzione tra atleti e camminatori.

Il ritorno alla Trappa ha concluso la splendida mattinata con la premiazione dei vincitori Marius e Giulia…

Tornando alla realtà… oggi, domenica 10 maggio, la ASD Podistica Valle Infernotto avrebbe voluto fosse un giorno dedicato ad aiutare un amico. L’edizione 2020 della gara di Corsa in Montagna doveva essere l’occasione per fare sentire forte la vicinanza del mondo dello sport e dei tanti amici a Marius Gadalean, alla sua famiglia ed a Giulia Vignolo, la sua compagna.
Da più di due anni Marius sta facendo la sua gara per salire la vetta del Montebracco. La malattia lo ha costretto all’immobilismo ma la sua corsa non si è fermata. Non è tipo da arrendersi facilmente Marius e noi siamo qui a sostenerlo in attesa di vederlo tornare tra di noi. Un abbraccio alla mamma ed a Giulia che, con l’eroismo del quale sono capaci le donne, sostengono il suo percorso verso il traguardo.

Avremmo voluto…ma non è stato possibile. La manifestazione sportiva sarebbe stata anche l’occasione per raccogliere offerte utili a sostenere le cure cui necessita. Per questo la Podistica Valle Infernotto prova a rinviare la manifestazione a domenica 27 ottobre. Per oggi è importante fare sentire la vicinanza ed il sostegno di tutti alla corsa di Marius.

Carlo Degiovanni a nome dei “Diavoli” di ogni genere della Podistica Valle Infernotto


mercoledì 6 maggio 2020

CORSE DELL’ALTRO SECOLO: IL MONTE MUSINE’


LA MARCIA ALPINA DEI TORINESI

Si narra che il Monte Musinè, che si eleva tra i comuni di Caselette, Almese e Val della Torre, sia il luogo preferito da alieni ed altri extraterrestri per venire a fare visita al popolo umano. Di solito gli avvistamenti avvengono la sera dopo allegre tavolate tra amici non scevre dal buon vinello d’importazione giacché a quelle latitudini non è uso coltivare l’uva.

Però la leggenda nasconde una verità: Caselette fin dagli anni ’70 al debutto del mese di maggio era meta di extraterrestri nostrani che lì convenivano per dare l’avvio alla stagione della Marcia Alpina presenziando alla liturgia della gara al Monte Musinè. Giungevano da ogni angolo del Piemonte, della Valle d’Aosta tutti ma proprio tutti i grandi nomi e con loro centinaia di cittadini della vicina Torino. La piramide (vulcano?) del Musinè è quanto di più immediato ci sia in fatto di montagna alla metropoli e l’attrazione di salirla, ma soprattutto scenderla, di corsa rappresentava una sfida ai podisti refrattari a cricetare nelle noiose piste di atletica.

Pur non essendo questa la sede per fornire i dettagli tecnici relativi all’albo d’oro, peraltro reperibile dalle classifiche ufficiali del tempo sia pure scritte in prevalenza a mano, occorre rilevare che Felice Oria ebbe il “coraggio” di archiviare il viaggio andata e ritorno in poco più di 44 minuti alla testa di 144 estimatori della specialità nella edizione 1981 mentre la fondista Maria Long definì la pratica femminile aggiungendo a quello stratosferico tempo appena 16 minuti nella edizione del 1985. Non riuscirono neppure i “professionisti” della Forestale Roma Giovanni Mostachetti e Raimondo Balicco a fare meglio dell’atleta quasi di casa. Altri protagonisti negli anni Erminio Nicco, Edo Ruffino, Giuseppe Genotti, Bruno Poet, Franco Naitza, e Marco Olmo. Tra le marciatrici di montagna Maddalena Gozzano, Ivana Giordan, Lorella Frasson, Cinzia Usseglio. L’ufficialità delle classifiche assegnava ora 9 ora 7,5 km al percorso complessivo e, dato più certo, 770 metri di dislivello.

Il menù dell’avventura prevedeva circa 800 metri di asfalto in leggera salita in avvio prima di salire un vero e proprio calvario dotato di regolamentari stazioni alle quali gli atleti si guardavano bene dal sostare. La mulattiera di avvio metteva timore alla lunga coda colorata che baldanzosamente celebrava ancora qualche passo di corsa. Poi la fede veniva meno e rimaneva un ripido ed impervio sentiero a condurre a passo di marcia gli atleti verso la croce della vetta. Pochi alzavano lo sguardo al sacro simbolo intenti del trasformare la pesante marcia in dinamica corsetta in attesa del piatto forte del tracciato: la discesa su Caselette.

Sulla discesa della gara del Musinè circola un’altra leggenda che narra di atleti che nei giorni precedenti si recavano in perlustrazione sul posto per collocare appositi segnali nei punti deputati a tagli illegittimi della ripida serpentina che li portava verso il traguardo. E si perché un improvvido taglio non ben ponderato avrebbe condotto alla perdizione nel ricco sottobosco non sempre ospitale che separava i tornati legali. Gli atleti “trasgressori” erano riconoscibili all’arrivo per via delle ingiurie che i rovi avevano prodotto sulle loro gambe sanguinanti. Una discesa sogno ed incubo per i partecipanti a seconda della loro predisposizione per “le discese ardite”.

Non di rado la gara era accompagnata dalla pioggia primaverile di quando c’erano ancora le stagioni di una volta e ciò rendeva tutto più complicato in tempi nei quali non esistevano docce o ripari nel dopo gara. Un ciliegio, per la stagione fiorito, accoglieva i reduci nel cortile del bar dell’angolo dove la fatica, tanto breve quanto intensa, trovava pace.

Prendeva avvio, quindi con la “Marcia Alpina al Musinè”, la stagione agonistica che da tradizione si sarebbe conclusa al mese di settembre vuoi a Cumiana con i Tre Denti o vuoi ad Ivrea dove pari data si correva l’Ivrea Mombarone. Al vero i motori si scaldavano già qualche giorno prima e tassativamente il 1° maggio: Sempre il Musinè protagonista ma la formula era salita e discesa a cronometro a coppie con partenza ed arrivo alla Frazione Milanere di Almese. Approccio soft per testare le gambe dopo la preparazione invernale: una trentina di atleti, non di più, a prendere confidenza con i sentieri montani.

Il mito del Musinè si è interrotto a fine anni ’90 preda dell’evolversi della specialità che iniziava a richiedere lunghe distanze e dislivelli ma, soprattutto, tracciati meno “violenti”. Il nuovo secolo ha visto la rinascita della gara: stesso tracciato ma con partenza ed arrivo qualche centinaia di metri più su in una accogliente piazza senza il ciliegio fiorito anche perché il calendario senza fine della moderna Corsa in Montagna colloca l’epica prova ad autunno inoltrato. Ai miti del passato si sono succeduti gli extraterrestri moderni. Stessa fatica e stessa passione che vive grazie a coraggiosi organizzatori che continuano a mantenere in vita la Marcia Alpina dei torinesi.

Valsusa Team
con la benedizione della Uisp ha messo sul fuoco la 34° edizione per il 20 ottobre 2020. Nel secolo scorso un atleta locale frequentava le parti alte di questa epica corsa che affonda le radici nel 1973: Cesare Bonino. Per la 17° volta Caselette ricorderà questo concittadino forte in salita e strepitoso in discesa. La Corsa in Montagna non dimentica i propri campioni.

Carlo Degiovanni



domenica 3 maggio 2020

CORSE DELL’ALTRO SECOLO: ISSIME - MARCIA DEL DONDEUIL



Quattro minuti al km… appena dopo i saluti di rito tra podisti questo diventa il metro di valutazione delle potenzialità atletiche dell’amico avversario con il quale si intraprende un allenamento o una competizione.

 Chi è sotto al limite viene considerato un campione in proporzione diretta alla misura denunciata, chi sta sopra potrebbe migliorare ma è destinato ai sorrisi di compiacenza (o compassione) dei potenziali campioni.
La mia personale scoperta della differenza sostanziale tra il “Podismo” e la “Marcia Alpina” avvenne quando mi resi conto che nella seconda specialità i minuti al km diventano Km orari ovvero, la capacità di coprire, tra salita e discesa, la distanza di quattro km all’ora! Dodici (12) infatti i minuti che impiegai a superare 500 metri di lunghezza con 150 metri di dislivello che separavano il km 7 del tracciato allo “scollinamento” (2338 mt.) del COLLE DONDEUIL sulla cresta divisiva tra la Valle d’Ayas e la Valle del Lys nella ospitante ed ospitale Valle d’Aosta. 

Dodici minuti fianco a fianco di Giacomo Cianciana, forte atleta valdostano menomato nelle sue capacità atletiche per una inabilità ad un braccio ma gambe e cuore eccellenti per compensare il limite fisico. Lui, parzialmente impedito all’utilizzo delle “braccia a pantografo” sulle gambe per aiutare la salita (l’uso dei bastoncini è consuetudine molto recente) reggeva il mio passo e celebrammo la comune fatica sulle ultime pendenze ascoltando solo il nostro affaticato respiro. Copiosi e squisiti mirtilli fungevano da ristoro per entrambi. Ogni gara porta con se dei ricordi personali ed io non posso non associare la MARCIA DEL DONDEUIL al ricordo di quell’atleta, avversario di giornata e mai divenuto amico per via della timidezza e riservatezza dei marciatori alpini.

MARCIA ALPINA DEL DONDEUIL recitava il volantino per illustrare il regolamento della prova atletica: Challand Saint Victor (774 mt slm) in Valle d’Ayas, Colle del Dondeuil (2338 mt) ed arrivo ad Issime in Valle del Lys (953 mt). Km 15 e 1600 metri di dislivello positivo.
Partenza in ingannevole discesa su tratto asfaltato presidiato, qua e là, dai residui del transito delle “Reine” oramai in procinto di abbandonare i pascoli alpini: anche per loro si avvicinava, con metà settembre, il fine stagione! Uno stretto sentiero dalle pendenze subito micidiali richiedeva alla truppa la necessità di “prendere posizione” per proseguire “gementi e piangenti in questo sentiero di lacrime e sudore” (Cit. dal Salve Regina adattato alla bisogna) fino a raggiungere Fontaney da dove una pista di accesso agli alti alpeggi favoriva qualche passo di corsa prima dell’avvento di quei 12 minuti finali di salita. La discesa, più breve e più intensa, concedeva allo sguardo solo la possibilità di presidiare con precisione i punti di appoggio dei piedi per evitare cadute o infortuni in attesa dell’abbraccio finale del centro di Issime imbandierato a festa per l’occasione. E dire che il volantino citava anche “…attraverso un paesaggio suggestivo” ma di quelle suggestioni, nella mia mente è rimasto poco…solo quei dodici mi uti in compagnia dei silenzi (e dei mirtilli) di Giacomo. 
Stupefacente per l’epoca (anni ’80) la “diretta televisiva” del transito degli atleti al Colle Dondeuil agli spettatori pigri rimasti ad Issime delegando ad altri più volenterosi il tifo sul tracciato. Servizio offerto da Elettrolys di Pont St. Martin!

Uscendo dai ricordi personali ma con emozioni estendibili ai “con-passionari” la cronaca sportiva racconta di un record rimasto imbattuto di Giuseppe Genotti, immenso atleta delle Valli di Lanzo, che ha limitato la sofferenza a un’ora, 39 minuti e 50 secondi il giorno del suo trionfo nel 1983. Ci provarono a fare meglio di lui Marco Treves, Erminio Nicco, Marco Morello, Piero Dufour, Edo ed Elio Ruffino, Leandro Marcoz e Donato Ducly ma in vetta è rimasto lui, un gigante in parte inespresso per il poco tempo dedicato all’agonismo. 
Poche notizie sul fronte femminile. Il “genere” ha patito nel secolo scorso l’emarginazione maschilista e nel nuovo millennio si sta riprendendo strepitose rivincite. Paola Didero si incaricò di dimostrarne le potenzialità: 2.41’13” il tempo impiegato nel trionfo del 1983. Scorrendo, poi, la classifica ufficiale scorgo quel 1° posto “di categoria” di quel Degiovanni Luigi, in allora e tutt’ora mio fratello. Penso non lo ricordi nemmeno lui, e non mi riferisco all’essere fratello!

Medaglie d’oro ai primi 4 classificati assoluti, argento fino all’8° e bronzo esteso fino al 12°. Come sana tradizione Valdostana grolle ed altri prodotti in legno dell’artigianato locale a volontà per i vari protagonisti di categoria. Vigeva “regolamento locale” nella divisone degli atleti per categorie. Regolamento suggerito dal Comitato organizzatore e coordinatore delle Martze a Pià, denominazione valligiana della stessa fatica da noi chiamata Marcia Alpina. 
Carlo Degiovanni







sabato 2 maggio 2020

CORSE DELL’ALTRO SECOLO: IVREA MOMBARONE


Ivrea-Mombarone: la storia di una Corsa in Montagna iniziata nel 1922

Era il 6 agosto del 1922 alle ore 3 del mattino, quando da Piazza Carlo Alberto di Ivrea, oggi Piazza Ottinetti, presero il via 33 concorrenti, con lo scopo di partecipare alla prima edizione della “Marcia di resistenza al Mombarone”, in pratica da Ivrea al Mombarone e ritorno con l’obbligo di transitare in alcuni punti fissi di controllo situati a Bienca, Andrate e San Giacomo, con l’obbligo di firma al passaggio.

Ma che Italia era quella di un secolo fà? La prima Guerra Mondiale era finita da 4 anni, l’influenza “Spagnola” che in pratica fece in Italia più morti della guerra, da appena 2. Vittorio Emanuele III era il sovrano del Regno d’Italia e pochi mesi dopo, nell’ottobre del 1922, la “Marcia su Roma” organizzata dal Partito Fascista lo indusse ad incaricare Benito Mussolini di formare il nuovo governo, segnando di fatto l’inizio del “Ventennio Fascista”. Quell’anno si corse la decima edizione del Giro d’Italia, vinto da Giovanni Brunero di San Maurizio Canavese, quasi a conferma che nel Canavese la passione per gli sport di fatica, a piedi o in bicicletta, era molto forte, in tempi in cui si faceva sentire la recessione per la guerra e non c’erano tante altre soluzioni per il tempo libero. Due anni dopo, alle Olimpiadi di Parigi 1924, Romeo Bertini vinse la medaglia d’argento nella Maratona (che viste le strade dell’epoca altro non era che un moderno trail sterrato) e Ugo Frigerio la medaglia d’oro nei 10km di Marcia, a ben vedere specialità progenitrici della Marcia Alpina, successivamente diventata Corsa in Montagna.

In quel contesto si disputò l’Ivrea-Mombarone-Ivrea, di cui certo era il dislivello (2100m dai 271m di Ivrea ai 2371m della Colma del Mombarone), ma non il chilometraggio, visto che poi si poteva passare dove si voleva a parte i 3 punti di controllo già citati. Rinaldo Bovo fu il primo vincitore, con il tempo di 5h35’00”, tempo incredibile all’epoca, visto che si stimava in 8 ore, ancor più incredibile fu che i primi 4, oltre a Bovo, Luigi Sandri, Felice Pennato e Nino Crotta, arrivarono nello spazio di 6 secondi! Il vincitore fu premiato con una medaglia di argento dorato, un diploma e 300 lire dell’epoca!  Nel 1923 si disputò la seconda edizione, con una modifica del percorso di ritorno, che prevedeva il passaggio da Borgofranco con il rientro a Ivrea al “passo”, vinta da Felice Pennato con il tempo di 5h27’00”. La terza e ultima edizione si disputò il 13 luglio 1924, fu vinta da Giuseppe Ferrera con il tempo record di 5h07’23”. Questo atleta partecipò poi alla Maratona delle Olimpiadi di Amsterdam del 1928, arrivando 34° in 2h53’, in una maratona vinta in 2h32’.

Ferrera fu il primo di diversi atleti che passarono dal successo di un’Ivrea-Mombarone alle Olimpiadi: Arianna Follis vincitrice nel 1999 bronzo olimpico nello sci di fondo a Torino 2006, oltre a oro e argento Mondiale, Catherine Bertone vincitrice con record nel 2014 e protagonista in Maratona alle Olimpiadi Rio 2016, Valeria Straneo non vincente sul Mombarone, ma poi argento Mondiale ed Europeo di Maratona, Davide Milesi che nel suo palmares vanta anche 2 successi all’Ivrea-Mombarone oltre a una Coppa del Mondo a squadre di Maratona e a una collezione infinita di titoli mondiali a squadre in corsa in montagna, per finire con il più grande di tutti, il neozelandese Jonathan Wyatt ora Presidente WMRA la Federazione Mondiale della Corsa in Montagna, che oltre a 6 titoli Mondiali di corsa in montagna, ha partecipato a 2 Olimpiadi: Sidney 2000 e quella famosa per noi italiani di Atene 2004 con il trionfo di Stefano Baldini. Jonathan Wyatt nel 2014 ha vinto e stabilito il record di 1h55’17” dell’Ivrea-Mombarone, dando con la sua partecipazione lustro ad una manifestazione che è la storia stessa della Corsa in Montagna.

Una storia ricominciata il 10 ottobre 1976, con la corsa in salita da Ivrea a San Giacomo di Andrate, una prova generale di corsa in salita di 12 km con 1000 metri di dislivello, organizzata dagli Andratesi che già immaginavano quel che sarebbe successo nei 43 anni successivi. A vincere quella prova fu il valdostano Erminio Nicco in 1h08’13”, grande protagonista nazionale non solo della Marcia Alpina, ma anche di Maratona e gare su strada. Quindi gli Andratesi e l’Associazione sportiva Amici del Mombarone, capitanati da “Patron” Giuseppe Nicolotti, lavorarono tra le quinte per un anno per quella che è stata la “prima Riedizione dell’Ivrea-Andrate-Mombarone”, questa volta di sola salita, 2100m di dislivello e un po’ di più dei 20 km attuali perché fino a Valneira si correva sulla strada sterrata senza i tagli per il sentiero, datata 2 ottobre 1977. Partirono in 54, il meglio della Marcia Alpina Piemontese, tra cui due donne: Franca Peretto che vinse (3h59’19”) le prime 2 edizioni ed Elena Bianchetti, che nel corso degli anni ne vinse ben 5 di edizioni. A scrivere per primo il suo nome nel prestigioso Albo d’Oro dell’Ivrea-Mombarone fu Edo Ruffino in 2h15’49”, su Marco Treves e il fratello Elio Ruffino. Rivincita un anno dopo, 1 ottobre 1978, con il valdostano Donato Ducly che in 2h12’37” supera il vincitore della prima edizione Edo Ruffino, mentre tra le donne vince ancora Franca Peretto su Elena Bianchetti, ma questa volta in 3h40’07”, quasi 20 minuti in meno.

In 43 edizioni tanti campioni sono passati sui sentieri dell’Ivrea-Mombarone, e rimando all’Albo d’Oro per non far torto a nessuno, alcuni addirittura senza vincere, come Xavier Chevrier, Bruno Brunod, Marco Olmo, Erminio Nicco, altri non ci sono più ed erano amici, oltre che miei compagni di squadra, come Mauro Fogu (3 volte vincitore e primo a correre in meno di 2 ore) e Leonardo Follis. Abbiamo visto i grandi corridori africani sui nostri sentieri, come il keniano Julius Rono e l’ugandese Jean Marie Uwajeneza, vincitori rispettivamente nel 2016 e nel 2015. Tra le donne siamo passati dal 3h59’19” di Franca Peretto della prima edizione al record 2h15’08” di Camilla Magliano del 2017, atleta dal talento cristallino come le sue articolazioni che la costringono a lunghi periodi di stop, in mezzo tante campionesse della corsa in montagna e skyrunning, con il record di 6 successi di Ornella Bosco.

Fin dalla sua rinascita, dopo le 3 edizioni degli anni ‘20, questa gara è sempre stata l’oggetto del desiderio di chi corre in montagna, sia negli anni ‘70 quando era considerata una gara estrema, che negli ultimi anni, quando gare ben più lunghe e blasonate sembrano averla messa in secondo piano, ma nessuna di loro avrà il fascino di una “Classica Monumento” della Corsa in Montagna come l’Ivrea-Mombarone, che ho avuto l’onore e la fortuna di vincere 2 volte.

Di Giancarlo Costa – Runningpassion
Già pubblicato su www.runningpassion.it

Bibliografia

L’Ivrea-Mombarone una corsa, una montagna, una passione – Autori Valanzano, Modina, Bianchetti (Bolognino Editore)

Ivrea-Mombarone una corsa tra immagini e pensieri – a cura di Bonino, Fornero Monia, Leonardi, Modina, Ravetto Enri, Zodo (Tipografia Giglio Tos)

venerdì 1 maggio 2020

CORSE DELL’ALTRO SECOLO: LA TRE FUNIVIE DI SESTRIERE – CORSA O MARCIA ALPINA?


L’IMBATTUTO RECORD DI MARIO ANDREOLOTTI ED IL CORAGGIO DI ELENA DUGONO

Giù il cappello, prima di iniziare la lettura. La storia sarà inevitabilmente sintetica ed anche un po’ di parte ma siamo in presenza della manifestazione, con la lo Chaberton e la Tre Rifugi in ordine di anzianità organizzativa, che più ha dato lustro allo sport delle fatiche montane: il “TROFEO TRE FUNIVIE” del Sestriere.

A molti parrà impossibile ma nell’estate 1976, come peraltro nelle precedenti, Sestriere era praticamente deserta in quanto puntava quasi esclusivamente sul turismo invernale. Ricordo che nel 1972 transitando in bicicletta nel giorno di ferragosto faticai a trovare un bar aperto per potermi rifocillare…

Sarà anche per movimentare le deserte estati sestrieresi che l’Azienda autonoma di soggiorno e l’indispensabile Associazione Nazionale Alpina diedero vita alla spettacolare TRE FUNIVIE.

La definizione ufficiale era “Gara Internazionale di Corsa Alpina” ma il suo tracciato permetteva la corsa solo in alcuni tratti, sempre che le gambe non avessero esaurito il carburante. Sicuramente si correvano i primi 300 metri di discesa che portavano i partecipanti (87 alla prima ma raggiunsero presto le 180 unità) dalla partenza in Piazza Kandahar all’imbocco della salita per la stazione di arrivo della prima funivia al Monte Sises.  Da quel punto i partecipanti assumevano l’aspetto ascetico di solitari filosofi delle fatiche inutili, almeno per i pochi turisti delle seconde e terze case che dispensavano pigri applausi di sufficienza. Il tifo genuino era espresso dai montanari locali oltre che dai famigliari saliti al Sestriere a sostenere i protagonisti di uno sport considerato povero.

Monte Sises, Passo San Giacomo, Monte Banchetta, Ponte Chisonetto, Rifugio Venini, Colle Basset, Monte
Fraiteve e Piazzale Fraiteve il percorso che misurava circa 1600 metri di dislivello da coprirsi in 16,800 Km.

 In merito ai premi il volantino recitava: “Al 1° classificato Trofeo Tre Funivie e medaglia d’oro, dal 2° al 10° medaglia d’oro, dall’11° al 30° medaglia d’argento. A tutti i concorrenti verrà consegnata una medaglia ricordo.  Nessuna categoria prevista, né premiazione femminile (come era cattivo uso un tempo) anche se il “Regolamento” ne permetteva la partecipazione.

Nonostante l’affronto organizzativo alle donne salì al Colle Elena Dugono, che con Vittoria Odone e Gloria Alfero, si incaricò di dare dimostrazione pratica dell’errore discriminante dell’Organizzazione che ne prese atto e provvide a correggere, fin dalla seconda edizione, la mancanza. Elena Dugono fu la prima vincitrice della massacrante gara e negli anni successivi altri grandi nomi si aggiunsero al suo: la canavesana Maddalena Gozzano, l’angrognina Ivana Giordan e Maria Long che da Pramollo raggiunse il colle nel 1984 per stabilire il record femminile in 2.23’42”.

La TRE FUNIVIE ha celebrato, però, il mito dei fratelli Andreolotti. La gara non attirò, come sperato, le presenze internazionali ma i migliori specialisti italiani sì. Giuseppe e Mario Andreolotti arrivarono il mattino di domenica 22 Agosto 1976 al Sestriere dalla ossolana Bognanco dove risiedeva una vera e propria facoltà universitaria che laureava con il massimo dei voti (più menzione) le migliori gambe da destinare allo sport che da gloria ai ragazzi dei monti.

Giuseppe Andreolotti
conquistò la prima sul palco della Tre Funivie. Impiegò 1.51’55”, tempo ritenuto stratosferico. Per dare un senso all’impresa si tenga conto dei campioni che presidiarono la parte alta della classifica: Silvio Calandri (1.55’04”), Edo Ruffino (1.57’33”), Mario Andreolotti (1.1.59’54”), Elio Ruffino (2.01’26), Gino Long (2.02’27”) e poi ancora Treves Marco, Herin Costante, Adriano Scrimaglia e Balbi Giancarlo… Il protagonista assoluto della Tre Funivie, però, è il fratello Mario Andreolotti: colse una strepitosa vittoria nel 1984 stabilendo un record che ha resistito fino ad oggi, trascorsi 36 anni dal giorno dell’Impresa: 1.45’18”!

L’avventura della “Corsa alpina” del Sestriere proseguì dando e ricevendo gloria a molti atleti ed in special modo ai vincitori che hanno occupato il gradino più alto del podio: tra questi Silvio Calandri ex aequo con Edo Ruffino e lo stesso Edo Ruffino in solitaria per due edizioni.

Nel 1988 la Fidal scelse il tracciato, al quale apportò limitate modifiche di “addolcimento”, per disputarvi in prova unica il Campionato Italiano di Gran Fondo Maschile e Femminile. Giunsero i Campioni nazionali e vinse tra le donne su percorso ridotto Guidina Dal Sasso (ancora Valli Ossolane!). Tra gli uomini fu il Forestale Lucio Fregona ad imporsi in 1.48’15”. Difficile fare paragoni tecnici causa modifiche al percorso originale ma quel 1.45’18” di Mario Andreolotti rimase ancora lì a presidiare il Colle del Sestriere.

Come successe a molte gare dell’epoca, anche la Tre Funivie dovette fare i conti con i nuovi regolamenti che la Fidal impose dagli anni ’80 richiedendo sostanziali modifiche tecniche al percorso. Ne nacque una Tre Funivie più “morbida” atta anche a valorizzare i tracciati realizzati per la Corsa in Montagna quali il Sentiero Bordin.

La Tre Funivie “vecchia maniera” ebbe un rilancio nell’era moderna. Era l’anno 2010 e si provò a tornare all’antico con nomi nuovi: Tre Funivie Skyrace!  L’edizione di esordio bis vide il trionfo francese di Julien Rancon e Corinne Favre. Poi salì in cattedra l’astro nascente (ai tempi) delle Sky Race: Paolo Bert da Bricherasio con tre vittorie consecutive. Annalisa Diaferia, Daniela Bonnet ed Elena Cardone le protagoniste femminili.

Oggi della TRE FUNIVIE rimane il mito come è giusto succeda quando un avvenimento viene consegnato dalla cronaca alla storia.

Carlo Degiovanni





Trail degli Invincibili in tempo di coronavirus

Buongiorno Amiche ed Amici!

Il Trail degli Invincibili è stato programmato, in tempi ante virus, per Domenica 27 Settembre 2020 con preiscrizioni aperte dal 1° Maggio sulla piattaforma Wedosport.
In relazione alla situazione da tutti conosciuta e nell'incertezza derivante dalla stessa sulla possibilità di allestire la manifestazione abbiamo deciso di sospendere l'avvio delle iscrizioni e di rinviarle, eventualmente, ad una successiva data che ci premureremo di comunicarVi.
Parimenti vi aggiorneremo tramite mail delle decisioni definitive in merito alla effettuazione o annullamento del Trail degli Invincibili edizione 2020. In fondo siamo Invincibili ma...con moderazione!
Vi invitiamo a tenervi comunque aggiornati visitando il nostro sito web
www.traildegliinvincibili.it

Certi della Vs. comprensione vi auguriamo di potere riprendere il prima possibile a correre sui monti.
Il Comitato Organizzatore