giovedì 4 agosto 2016

DAVID LE CAPITAINE (1662-1737) Storia di un “invincibile” di Giovanni Peyrot

Prefazione

Le fonti storiche di questo testo sono state raccolte dai miei nonni e da mio padre, Enrico Peyrot, profondo studioso di storia valdese. Avendo io ereditato una grande quantità di appunti e documenti della famiglia grazie all’impegno di accumulo e di ricerca di chi mi ha preceduto, ho potuto redigere, nel 1989, un ponderoso volume dal titolo “Una famiglia valdese attraverso i secoli” stampata in dieci copie. Una di queste copie è presente presso l’Archivio storico del Centro Culturale Valdese di Torre Pellice e può essere liberamente consultata. Da questa storia compilata in più di due anni di lavoro, è sorta una lunga trattazione genealogica con aneddoti, ricordi e riferimenti ai quali più volte ho attinto per comporre alcuni altri miei libri.
È ora venuto il momento di onorare uno dei personaggi più significativi di questa opera, per descriverlo nei tragici avvenimenti della sua epoca: David le Capitaine. Basandomi su fatti storici ben provati in centinaia di documenti e pubblicazioni della sua lunga ed avventurosa esistenza, mi sono permesso di ricostruire alcuni episodi immaginandoli, per mancanza di ragguagli più precisi, ed aggiungerne altri, affatto inventati o romanzati. Oltre al piacere di ricostruire la biografi a di questo nostro avo, non tanto diverso da molti altri della sua epoca, accomunati dalle stesse tragedie storiche ed umane, ho cercato di indagare su eventi che non hanno mai smesso di tormentare l’umanità intera fin dalle sue origini: guerre e migrazioni. Infatti, le guerre e le migrazioni, che, ancora oggi, suscitano orrore e miserie a livello planetario, presentano caratteristiche variamente interpretabili dal punto di vista etico e filosofico estendendosi dal male più cupo al progresso ed al rinnovamento.
La guerra, in quanto fenomeno sociale, ha numerosi rifl essi e accostamenti con la cultura, la religione, arte, costume, economia, miti, e con l’immaginario collettivo, ma la realtà stessa del fenomeno spesso cambia nella sua essenza, contribuendo ad esaltarla o condannarla. 
La condizione umana è complessa comprendendo anche il rischio, la cui caratteristica è di affrontare il pericolo per desiderio di avventura. Da quando l’Homo sapiens è uscito dalla sua culla tropicale africana originaria, alcuni milioni di anni fa, separandosi evolutivamente dalla scimmia, si è espanso in tutto il pianeta, esprimendosi in relazioni di cooperazione e competizione nei confronti dei suoi simili. La necessità di rafforzare il proprio potere nella società, lo ha portato all’astuzia, al nepotismo, all’opportunismo, alla tirannia, all’aggressività e, nelle situazioni estreme, alla guerra. Nella guerra ha il sopravvento la natura istintiva arcaica e l’eredità condivisa con i primati.
A questo punto non contano più cultura, intelligenza o morale. L’altruismo è riservato ai consanguinei e collaboratori, mentre si formano, in modo pressoché automatico, le gerarchie. A volte l’uomo è mosso da scopi nobili e collaborativi, ma poi ricade nell’istinto egoistico che porta a lotte e genocidi. In ogni epoca ha realizzato sistemi di controllo sociale per evitare il conflitto,
ma, non appena le regole vengono meno, o sono ingiuste, o mal sopportate, le tendenze violente riemergono. Un fattore molto forte che ha sempre innescato guerre è il motivo religioso. Un preteso diritto derivante da credenze in fedi diverse, o interpretazioni personali di scritti e tradizioni precedenti, diventa, per un popolo o gruppo religioso, motivo per lanciare una guerra di aggressione verso quello che è individuato come bersaglio della propria insoddisfazione.
Anche se persecuzioni ed eccidi a sfondo religioso non sono mai cessati, in Europa non si sono più combattute vere guerre per motivi di fede dal 1648, anno della pace di Vestfalia, che ha chiuso la guerra dei trent’anni. D’altra parte, l’istinto di sopravvivenza, la preservazione del proprio territorio,
la difesa dei propri mezzi di sussistenza, sono alcuni esempi di come una comunità può essere spinta a prendere le armi contro una comunità nemica che mette a rischio spazi, diritti, valori o beni acquisiti ed irrinunciabili. A motivi di tipo egoistico o utilitaristico si affiancano spesso motivazioni psicologiche come odio, disprezzo, vendetta e paura.
La guerra può portare gli uomini alla morte o a condizioni fisiche ed emozionali estreme. Ma anche altri sono i significati della guerra. Le periodiche estinzioni di centinaia, migliaia o milioni di individui creano nuovi spazi e nuove condizioni di rinascita. Questo cinico concetto è stato più volte considerato nel passato e anche ampiamente sviluppato dagli studi sull’arte della guerra di Nicolò Machiavelli (1469-1527) o dal pensiero filosofico dei “corsi e ricorsi” di Giambattista Vico (1668-1744). Inoltre, le difficoltà che l’uomo deve affrontare per non perire, rientra nel quadro darwiniano della evoluzione in cui solo l’individuo più adattabile riesce a sopravvivere. Infine, odio, paura disgusto, rabbia, sorpresa, tristezza ed ansia sovente agiscono sui circuiti emozionali proteggendo da distrazioni ed errori, insegnando a cambiare strada per raggiungere l’obiettivo, spingendo in modo vantaggioso all’azione, aumentando lo spirito critico e le capacità persuasive. Il conflitto armato è stato considerato anche come un incentivo, o una molla, per risvegliare la forza di volontà, la meditazione, e spronare a superare meglio le difficoltà della vita. Eccita emozioni e sentimenti positivi e negativi stimolando strategie e metodi che spesso aumentano la creatività e talora portano alla produzione artistica e a invenzioni utili all’intera umanità.
Per quanto riguarda le migrazioni, queste sono fenomeni che avvengono da sempre e riguardano tutti gli esseri viventi. Per gli animali, si riferiscono di solito a spostamenti naturali periodici o stagionali alla ricerca di condizioni alimentari o riproduttive più favorevoli. In genere questi spostamenti seguono rotte ben precise, anche lunghe, che poi sono seguite da un ritorno alle zone di partenza. Anche le migrazioni di moltitudini di persone, o addirittura di popoli interi, avvengono dai primordi dell’umanità, ma le cause determinanti sono molteplici. Carenza di cibo, malattie, desiderio di avventura, aggressività, desiderio di potere e, infine, guerre per motivi politici o religiosi in cui rientrano ignoranza, intolleranza, egoismo, e fanatismo. Nella sua esistenza, David, assistette a ben tre migrazioni dovute a motivi politici e religiosi. Anche se l’uomo è fornito di intelletto, coscienza di sé ed intelligenza superiore, capaci di portarlo a mete etiche, culturali e morali sublimi, tuttavia, le passioni peggiori possono esplodere in lui portandolo a compiere orrori e crudeltà che non sono concepibili neppure nel mondo animale.
Se il male esiste, esiste anche il suo opposto. Se esiste l’odio esiste anche l’amore. Sta proprio ad ognuno di noi, con il ragionamento, la collaborazione e l’esperienza, trovare le soluzioni migliori per rispondere ai continui terribili dilemmi dell’uomo, questo “eterno divino scontento”, nei confronti del suo prossimo.
Giovanni Peyrot

Introduzione

Era una bella e lunga serata estiva del 1735. Il sole, ormai quasi al tramonto, splendeva ancora caldo sulla valle illuminando campi, boschi e piccoli villaggi. Nella campagna, lungo il fi ume e sulle alture circostanti, si ergevano campanili, torri di palazzi e fortilizi, appena visibili fra le fronde dei boschi.
Dal balcone della sua rustica e semplice abitazione sulla collina, David stava osservando l’ampio panorama che si estendeva dai monti fi n verso la pianura padana, oltre l’orizzonte grigio verde, confuso fra le nebbie lontane ed il cielo azzurro.
David era un vecchio dai capelli e barba bianchi. Una cicatrice, appena visibile, e parzialmente nascosta dai capelli, si estendeva dall’ampia fronte alla guancia destra. La pelle del viso e delle mani era abbronzata, e vivaci, profondi occhi neri brillavano fra lunghe ciglia e sopraciglia. Indossava un ampio camicione di ruvida tela grezza aperto sul petto, pantaloni di fustagno e grosse scarpe di cuoio con lacci avvolti alle caviglie. Da poco superati i settantaquattro anni, aveva un aspetto robusto e fi ero. Sedeva su uno sgabello di legno, e sembrava assorbire con piacere gli ultimi raggi solari che, con il loro tepore, attenuavano i dolori del corpo, provato dagli anni, dalle fatiche e dai traumi di un’intera
vita avventurosa. Stava appoggiato al grosso trave che fungeva da balaustra e lasciava vagare la mente. Ormai era anziano e si rendeva conto di aver quasi esaurito la sua lunga esistenza. Rivolse lo sguardo davanti a sé, vagando con gli occhi sul vasto e sereno panorama, cercando di dare un significato all’ormai breve futuro che lo aspettava, ma il pensiero tornava spesso alla vita trascorsa con i suoi tumultuosi ricordi.
In casa, nella contrada e nel suo paese, era considerato ed apprezzato come un saggio patriarca, circondato da numerosi fi gli, nipoti, parenti ed amici. Aveva vissuto in un periodo tormentoso, sperimentato grande miseria da bambino, duro lavoro nei campi da giovane, persecuzioni, ed infine l’esilio nell’età matura, con tutto il suo popolo. Tante privazioni, tanti lutti, ma, finalmente, la fortuna e la volontà avevano prevalso. Dopo le prime soddisfazioni militari durante l’espatrio, era ritornato al paese natio ed alla nuova lotta per emergere, cominciare a ricostruire una vita ed una famiglia, assieme ai suoi parenti sopravvissuti e con gli amici. Infatti, ora, David, avendo viaggiato per mezza Europa, fornito di esperienza contadina e militare, con il titolo di capitano, ricco di conoscenza e di saggezza, aveva raggiunto prosperità e reputazione.
Negli ultimi anni era diventato un discreto proprietario terriero da cui dipendeva l’attività ed il benessere di tutta la famiglia e quello di numerosi vicini e collaboratori.
Senza nulla togliere all’importanza dei suoi antenati, egli fu, forse, il più significativo degli avi della famiglia Peyrot. Avendo conosciuto sia miserie che fasti nella vita militare europea del tempo, fu il primo ad elevarsi al di sopra della tradizione contadina. Da lui discesero molti personaggi e famiglie intere che si distinsero, nei secoli successivi, per laboriosità, onestà, cultura, ricchezza e fama.

Biografia dell'autore

Giovanni Peyrot: nato a Torino nel 1935, medico, ha esercitato la professione presso l’Ospedale Civile di Pinerolo dal 1961 al 1991. Fra i fondatori dell’“Osservatorio Astronomico Valpellice” (1989), fu promotore (2003) del “Museo Civico del Gioco e del Giocattolo”. Ha già pubblicato “I fantasmi di Villa Olanda” (2010), “Tre racconti per tre nipotine” (2010), “Una vacanza in Montagna” (2011), “Il mistero delle Terre Nere” (2012), “Nuovi amori ed antichi templi” (2013), Verdelibri Editore (To). “Mito, sogno e realtà”, Montedit 2012, ha conseguito diversi riconoscimenti fra cui il 1° premio letterario per la saggistica FEDER S.P.E.V. (2013). “Diario di un contadino di Rorà” (2013), “Emozioni di gioventù” (2014) e “Diario di una missionaria evangelica a Tahiti” (2015), “Frammenti di vita e di morte. Ricordi di un vecchio medico” (2015).