mercoledì 8 giugno 2016

Galleria degli Invincibili tra storia e sport: l'eroica falange degli "INVINCIBILI"

Ai primi di luglio del 1686 la guerra sembrava terminata: si erano licenziate le truppe francesi perché ormai, come aveva dichiarato il generale Catinat, il paese era “interamente desolato e non vi rimaneva più nulla, né popolo né bestiame”. Le valli erano ormai “purgate” e “nettate”, secondo le “eleganti” espressioni ducali. Vi regnava il silenzio dei deserti e dei cimiteri e le lodi di papa Innocenzo XI erano già giunte a Vittorio Amedeo II.
Ma s’ingannavano tutti costoro. Mentre le migliaia di prigionieri agonizzavano nelle carceri del Piemonte ed i loro beni confiscati si vendevano all’asta, ecco ricominciare inaspettata e veramente miracolosa la resistenza in virtù dell’eroica falange degli “Invincibili”.
“… Peu à peu ces rudes montagnardes se repprochérent, se réunirent, s’organisérent …”
Fu qualche cosa di prodigioso. Un manipolo di superstiti al comando di Paul Pellenc si riunirono al Bessé, all’ingresso del Vallone del Subiasco rifugiandosi poi fra le inaccessibili rocce di Barma d’Aut ed alla Guglia di Giaussarant. Qui, scampando in modo incredibile alle più accurate ricerche, nascosti in caverne solo da loro conosciute, nutrendosi di erbe, vissero di speranza e di disperazione insieme: una energia indomabile li sorreggeva! 
Di notte, con spedizioni fulminee, scendevano a spargere il terrore tra i savoiardi ed i biellesi che s’erano stabiliti nelle loro terre e sbaragliavano i soldati che il Duca s’era visto costretto a raccogliere e mandare di nuovo nelle Valli. 
“Imprévus dans l’attaque, insaisissables dans la fuite …. Ces montagnards désésperés causerènt un terreur qui croiassait avec leurs victoires”
La guerriglia si prolungò per vari mesi, finché Vittorio Amedeo, impensierito alla prospettiva d’una lotta di cui non poteva prevedere la durata, scese a patti coi duecento, chiamati ormai, “Invincibili” eroi. 
Questi, tuttavia, ammaestrati da una dura esperienza, dichiararono di non fidarsi delle semplici promesse ducali: vollero ed ottennero degli ostaggi. E dopo una tregua di due mesi, durante i quali poterono mandare due deputati a Ginevra per chiedere il parere di Gianavello e di Arnaud, il Duca propose loro l’emigrazione nelle condizioni e con tutte le garanzie che avrebbero voluto. L’accordo fu stipulato alla fine di settembre 1686 nella borgata Perlà a Bobbio alle seguenti condizioni: 
a) I duecento riceverebbero tutti gli ostaggi da loro designati ed i passaporti per andarsene in Svizzera a piede libero ed armati. 
b) Partirebbero in tre squadre, con facoltà di condurre seco i loro parenti che si trovavano tra i prigionieri. 
c) Appena giunta la terza squadra a Ginevra, tutti i prigionieri valdesi sarebbero liberati e condotti in Svizzera a spese del governo ducale. 
Questo accordo venne tosto confermato il 17 ottobre a Lucerna mediante un trattato del Duca con la Svizzera, la quale prometteva di accogliere i Valdesi e di vegliare a che non rientrassero in Piemonte.
Vi è dunque ragione di credere che, senza l’inflessibile energia dei duecento invincibili, non si sarebbe più parlato di emigrazione e che durante l’inverno i prigionieri sarebbero periti tutti quanti in fondo al loro carcere. Non già l’esilio dei Valdesi aveva, Luigi XIV, imposto al Duca di Savoia, bensì il loro sterminio; se lo sterminio totale non si effettuò, bisogna attribuirne il merito soprattutto alla meravigliosa resistenza d’un manipolo di eroi.
E poi questa storia continua ….

Fonti: 
David le Capitaine Storia di un “invincibile” di Giovanni Peyrot
Breve Storia dei Valdesi di Ernesto Comba
Nella foto una collezione di beidane conservate nel Museo Valdese di Torre Pellice. La beidana è un attrezzo, parente della roncola, che trova impiego in agricoltura fin dal XIII secolo: il suo nome viene dal “patois” della Val Pellice dove servì come arma e come attrezzo al combattente valdese che era, in sostanza, un guerrigliero di montagna.